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TRE NERE ALLA CONQUISTA DELLA NASA

Scritto da Damiano Crosina 9 Marzo 2017

Ci sono storie che meritano di essere raccontate, anzi, lo necessitano. Una di queste è quella di Katherine Johnson e delle colleghe Dorothy Vaughn e Mary Jackson. Donne, nere e pure a corto di soldi, nel 1961, in uno stato della Virginia ancora fieramente segregazionista. A lavorare alla NASA tra colletti bianchi e donne in tailleur e filo di perle. Eppure senza di loro, soprattutto Katherine, Armstrong probabilmente non avrebbe mai messo piede sulla luna.

Fox Entertainment Group © 2016 All right reserved.

Le tre lavorano come “calcolatrici” per la NASA, fanno cioè con carta e penna i calcoli necessari per le missioni spaziali nell’era appena precedente all’avvento dei computer (strano pensare siano passati poco più di 50 anni). Il film ci mostra il tenace impegno che le tre donne hanno avuto per affermare le loro capacità e raggiungere i loro obiettivi in un’America pre Martin Luther King.

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Il regista Theodore Melfi ci racconta la vicenda nel modo giusto e senza troppe pretese. Niente eccessive sviolinate o ricami alla ricerca della lacrima facile (e nonostante questo io qualche lacrima l’ho pianta). La narrazione è asciutta e ben calibrata e il tono verte quasi più sulla commedia che sul dramma. Il punto di forza più grande sta sicuramente nel casting, con Taraji P. Henson nei panni di Katherine, l’azzeccatissima (e di Oscar nominata) Octavia Spencer nel ruolo di Dorothy e la cantante-attrice Janelle Monáe come Mary. Ad un certo punto spunta pure Mahershala Ali (ma come? Non era in Moonlight?) nel ruolo di corteggiatore di Katherine.

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Di contrappunto il cast bianco di supporto include un Kevin Costner non straordinario (la pagnotta la porta a casa comunque con dignità), una piuttosto sciupata Kirsten Dunst (ma sul red carpet degli Oscar era di una bellezza straordinaria, quindi la si perdona) e Jim Parsons, Sheldon Cooper per gli amici (che qui fa praticamente lo stesso ruolo che fa in The Big Bang Theory). Da segnalare anche la colonna sonora che da giusto supporto e texture alle immagini e porta la firma di due grandi, Hans Zimmer e Pharrell Williams.

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Insomma, tra bagni per soli neri, diffidenza e sguardi storti è una gioia vedere le tre protagoniste sgomitare per farsi strada nel percorso in salita che l’affermazione di sé stessi è. Vedere questo film (e soprattutto i fatti da cui è tratto) dimostra come il modo migliore per superare pregiudizi e soprusi non sia il vittimismo o la lamentela tediosa e inutile, ma rimboccarsi le maniche, stringere se necessario i denti e farsi in quattro per dimostrare con i fatti e non con le parole come i giudizi preventivi siano troppo spesso infondati e completamente sbagliati. Quindi tutti al cinema a vedere Il diritto di contare e, se siete come me, ricordate di portarvi dei fazzoletti.

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